La natura del vino

Credo che sia difficile trovare un aggettivo adatto ad esprimere il valore agrario e artigianale . . .

. . . del produrre vino in maniera rispettosa. Amare il vino in ciò che è in grado di esprimere: amare, come sempre, vuol dire accogliere la cosa per come è. Accogliere senza trucchi, senza aggiunte, senza correzioni, senza imporre artificialmente la nostra idea di qualità attraverso manipolazioni che ridisegnino la struttura del vino. Produrre vini secondo natura è un'aspirazione: a realizzare qualcosa ricco di vita, un atto e un impegno di fiducia rivolto alla possibilità che la trasformazione dell'uva avvenga nel pieno rispetto delle caratteristiche proprie delle uve e del territorio. Questo grazie ad un grande impegno in vigna e ad una grande attenzione in cantina. Ne consegue una convinta accettazione dei processi naturali, guidati dalla nostra esperienza nel far bene evolvere quella trasformazione che si prolungherà poi nel vino indefinitamente, fino al suo decadimento naturale.
Andrea Kihlgren

L'esperienza agricola

In agricoltura qualcosa di semplice e di complesso convive inevitabilmente. Occorre infatti forza fisica . . .

. . . ma anche sensibilità e tenerezza, concretezza ma anche capacità di immaginare. Ci si trova ad avvicinare il mondo che vive intorno a noi ed è necessario imparare ad osservarlo con un unico sguardo, ma al tempo stesso occorre saperlo osservare nei particolari attentamente. È necessario imparare a misurarsi con la terra, col suolo agricolo, interagendo con le sue tendenze, le sue particolarità, cercando di comprendere il comportamento, l’adattamento, le sofferenze delle piante, essendo inevitabile, nel nostro lavoro, produrre qualcosa che altera le vie naturali. E per questo dobbiamo sforzarci di mettere la nostra testa all'interno di questi processi, entrando nel complesso mondo che interagisce con noi. In questo senso, l'orizzonte della biodinamica può apparire allora, da quella complessa visione che è, come una prospettiva quanto mai arricchente ed educativa del lavoro agricolo: perché quello che si va a scoprire è che la vita si esprime con relazioni infinite, tra corpi silenziosi di grandezza e di forza smisurata e infinitesimi corpuscoli, anch'essi straordinariamente attivi, e tutto si tiene: la parte minerale insieme a quella vegetale e animale. E’ possibile cercare la strada di queste relazioni e sentire che esistono, e cercare di amare la vita che vuole uscire in tante forme diverse. Non è possibile abbracciare tutto ciò se non con un sentimento di profonda umiltà, mettendosi in ascolto, con perseveranza e volontà, con i nostri scarponi e qualche utile attrezzo, cercando di vedere questo insieme perché la vita si rivela attraverso delle forme. E nel far ciò, inevitabilmente, ma non irrimediabilmente, sbagliando. E poi, come per ogni lavoro, occorre imparare ad accettare e conoscere anche noi stessi, le instabilità del nostro umore, i nostri limiti di comprensione ma anche le buone intuizioni, che qualche volta, assieme agli errori, arrivano. La ricerca della semplicità e dell'essenzialità mi hanno guidato, alla fine degli anni '90, quando mi sono risolto a non seguire più i criteri e i rimedi correnti creati per offrire scorciatoie al lavoro agricolo e al lavoro in cantina. Quando mi sono reso conto che gli eventi naturali non andavano visti come continui ostacoli ai miei progetti, che non va piegata la natura forzatamente, e soprattutto che non andava instaurato un atteggiamento di scontro al fine di tutto controllare e tutto guidare. Il nostro lavoro può in tal modo elevarsi enormemente, affrancarsi dalle continue paure e trovare la fiducia per esplorare quelle strade che la natura ci rende possibili, se perseverando le ricerchiamo. Imparando a convivere con le avversità, senza volerle violentemente e subitaneamente eliminare. Accettando, nel caso, la via più faticosa e onerosa, se questa si evidenza come la via giusta e di più aperte prospettive. Sempre con umiltà, perché quello che si apre davanti a noi è tanto, tanto più grande della nostra possibilità di abbracciarlo intellettualmente, ma possiamo tentare almeno di abbracciarlo attraverso un sentimento desideroso di comunicazione.

Fare vino

Incerto e titubante di fronte all’avvicinarsi della vendemmia, avvolto dall’emozione, ogni anno mi invade . . .

. . . la preoccupazione di sbagliare, vedo il rischio di anticipare o di posticipare troppo la partenza, di perdere il favore del bel tempo. Poi, quando finalmente le uve sono entrate in cantina, una calma e un silenzio le avvolge. Sono state rotte, la bellezza della loro integrità esposta al sole e al vento non esiste più; ma inizia la loro vita in cantina, di profonda trasformazione, dove verranno custodite, accompagnate nel farsi vino. Ma dicevo della calma che le avvolge: è l'attesa che qualcosa succeda, e come succede ogniqualvolta abbiamo fatto tutto il possibile, si attende fiduciosi. Fin dalle prime ore cominciano a liberarsi profumi mutevoli, diversi da uva a uva, e si avverte che qualcosa di non ancora visibile sta accadendo. Poi arriverà la fase tumultuosa della fermentazione e le incertezze se ne andranno. Occorre saperlo accompagnare e saperlo custodire, che non è poco, ma alla fine il vino in buona parte si fa da solo. Questo è quello che ho imparato da quando mi sono risolto ad intraprendere questa strada, dapprima solitaria, nel chiuso della mia azienda, poi confortata da altri esempi, dalle amicizie, dalla simpatia con tanti che strade simili avevano intrapreso, o semplicemente continuato a fare, prima di me. È stato bellissimo, alla fine degli anni novanta, insieme al ritorno alla pratica della macerazione delle uve bianche, scoprire questa elementarità del fare vino, imparare a seguire i processi di trasformazione soprattutto con la trepidazione del chiedersi: tutto sta andando per il verso giusto? Ma chiederselo soltanto in forma di trepidazione e non per virare verso qualche intervento correttivo, imparando a dare fiducia a quell'evolversi. Il lavoro a monte, ovvero il lavoro nel vigneto e il lavoro in vendemmia, entrambi inevitabilmente rigorosi e ostinati, senza eccesso, in modo agricolo, ma rigorosi e ostinati, per poi giustamente trepidare con fiducia. Questa strada ha comportato poi riconsiderare che cosa sia qualità nel vino, imparare a ricevere quelle fini sensazioni che solo una vinificazione non invasiva, nata da un'uva maturata senza forzature, può offrire. Qualità dunque come sinonimo di finezza, dalla quale originano sensazioni che più che aggredirci si fanno cercare e ci accompagnano poi durevolmente. Gusto di ritornare sul vino a bottiglia aperta, anche per più giorni, scoprendone l'evoluzione, perché il vino in questo modo si è costituito fortemente e prolunga la sua vita.

L'impegno agricolo

Il mio lavoro in agricoltura inizia alla fine degli anni ottanta, con i terreni affidatimi da mia madre . . .

. . . e appartenuti da lungo tempo alla sua famiglia, i Picedi Benettini. Un impegno, e diciamo pure un azzardo, per me che avevo fatto altri studi e non avevo avuto una formazione agricola, in un momento non facile per l’agricoltura della zona, che stava tuttavia vivendo un’incoraggiante nuova stagione della viticoltura. Presi questo impegno certamente per senso di responsabilità nei confronti delle proprietà ereditate, consapevole della lunga tradizione agricola che le accompagnava, ma anche stimolato da alcune reminiscenze infantili, risalenti a quando da bambino, nei periodi estivi, avevo avuto modo di avvicinare il lavoro in campagna. Un lavoro che avevo conosciuto segnato da fatica, da stenti, da difficoltà, ma che si svolgeva in un mondo ricco di luci, intriso di odori forti, costituito da un’intrinseca ricchezza. E la vita del contadino mi era apparsa come un’avventura quotidiana piena di fascino. L’impegno iniziale fu soprattutto quello di cercare una nuova impostazione agricola ai poderi fino ad allora condotti a mezzadria, ciascuno costituito da una vigna, quasi sempre da un uliveto e da campi per i seminativi e l’orto, come tradizionalmente era stata l’agricoltura in Lunigiana, nell'intento di scegliere con più cura le vocazioni delle diverse giaciture per la vigna e per l’olivo. La consistenza così ottenuta è di 7 ettari di vigneto e di poco meno di mezzo ettaro di uliveto. Nei vigneti predomina il Vermentino, ma grande cura è stata data al recupero di vecchie varietà di Albarola e di Merla (un Canaiolo da tempo acclimatato nella nostra zona). E poi il Tocai, che ha avuto una sua significativa presenza proprio nelle nostre colline sarzanesi da almeno cent’anni. Anche il Merlot, diffusamente presente nei vecchi vigneti della Lunigiana, è stato conservato e reimpiantato, assieme al Ciliegiolo. Mentre negli uliveti predominano le varietà Frantoio, Leccino, Moraiolo e Pignola.

Il territorio lunigianese

La Lunigiana è un’antica terra di passaggio, che comprende gli ampi bacini fluviali dei fiumi Magra e Vara, . . .

. . . dove si intrecciano territori liguri e toscani: dalle coste del mare, alle zone pianeggianti, fino ai rilievi montuosi dell’Appennino. Il suo nome origina dalla antica città di Luni, importante porto romano, dalle cui spoglie è sorta poi, non lontana, la città di Sarzana.


I nostri tre poderi si inseriscono nel territorio più prossimo al mare. Santa Caterina fa parte di una dorsale collinare alle porte dell’abitato di Sarzana, la cui formazione alluvionale, sistemata a terrazze e declivi, è composta da una terra rossa argillosa. Un poco più lontani, in direzione del mare, su terrazze alluvionali ghiaiose e ciottolose, gli altri poderi a vigna e ulivo denominati Ghiarétolo e Giuncàro.